Era il 1985 quando Riccardo Cocciante e Mina, avvolti nel caldo abbraccio dei migliori synth anni ’80, cantavano la loro “questione di feeling”. Era il timido (o forse non troppo) tentativo di lasciarsi andare in modo autentico nella relazione, “lasciando uscire quello che ognuno ha dentro … in fondo a sé stesso”. Un sentimento imperscrutabile, ci suggerivano, che va oltre le parole e la razionalità: un’alchimia emotiva capace di creare connessione.
Fast-forward al 2024 (o quasi 2025) e cosa ci mette in connessione oggi? Come costruiamo fiducia nell’altro, quell’epistemic trust che Fonagy e colleghi hanno descritto, in un’epoca in cui le relazioni sono mediate da network sociali e le connessioni guidate da algoritmi?
Nel suo articolo pubblicato qualche settimana fa sul Guardian, Jess Cartner-Morley esplora come oggi non siano più i fatti a dominare, ma i “vibes”: “la vaghezza degli istinti ora fa girare il mondo: è una crisi della consapevolezza o in fondo sono sempre stati i sentimenti a renderci umani?”, si chiede la giornalista.
Il sentire oggi sembra avere assunto una forma nuova. Questo shift, se da un lato ci avvicina a decisioni istintive e rapide, dall’altro rischia di impoverire la riflessione critica necessaria per affrontare questioni complesse. I vibes non sono più un riflesso di profondità o di una costruzione elaborata, ma sono diventati un filtro attraverso cui interpretiamo (o per meglio dire “sentiamo”) la politica, la cultura e persino le nostre relazioni.
C’è sentire e sentire, allora.
La “questione di feeling” del 1985, il sentire che non si può dire, perchè è così complesso, intricato, sembra aver lasciato spazio a qualcosa di più immediato, meno riflessivo.
Sono le prime impressioni, letteralmente delle “vibrazioni”, che oggi orientano le nostre scelte. I vibes sono una bussola che va in direzione antitetica alla consistenza dei fatti.
Una bussola la cui stella polare è l’intrattenimento, un mondo semplificato, facilmente digeribile dall’algoritmo che in fondo, ricordiamolo per i nerd all’ascolto, è pure sempre una combinazione di 0 e di 1: “ci aspettiamo intrattenimento non solo dall’industria dell’intrattenimento, ma anche dai politici, e i politici si sono allineati, propinandoci campagne elettorali zuccherate con meme e merchandising di TikTok”.
Siamo passati da una politica basata sui fatti e sui programmi a una politica orientata a “feelgood over everything else” (letteralmente il sentirsi bene sopra ogni cosa).
Questo cambio di paradigma suggerisce che viviamo in un tempo in cui l’impressione conta più del contenuto, o almeno: conta quanto basta per arrivare prima nell’orientare l’azione.
Ho un buon vibe, clicco.
Ho un cattivo vibe, non lo faccio.
E in un mondo a portata di click, mi viene da dire che questa non è una cosa da poco.
People have the power
Ad esempio, parliamo di noi.
E con noi intendo la categoria delle psicologhe e degli psicologi: professioniste e professionisti formati per lavorare con la complessità delle sfumature di quel “sentire”. Questo ruolo ci pone in una posizione privilegiata, ma anche carica di responsabilità, soprattutto quando il ‘sentire’ diventa la base su cui si costruiscono scelte personali e collettive.
Da grandi poteri, derivano grandi responsabilità, diceva qualcuno.
Tra poche settimane saremo infatti chiamate a votare per il rinnovo dei consigli regionali degli Ordini degli Psicolog* e per le rappresentanti nella nostra cassa di assistenza e previdenza, ENPAP.
Così come i vibes influenzano la politica globale, anche nel nostro ambito professionale rischiamo di essere guidati da impressioni superficiali. Le elezioni per l’Ordine degli Psicolog* e l’ENPAP sono un momento determinante, in cui dobbiamo chiederci se stiamo valutando le candidate per la loro visione e competenza, o per il modo in cui riescono a catturare la nostra attenzione attraverso messaggi immediati.
Allora, come possiamo evitare queste trappole? Come possiamo promuovere una comunicazione politica che tenga conto del nostro naturale bisogno di vibes, ma che non sacrifichi la complessità e l’autenticità? E, soprattutto, come possiamo essere certi di fare scelte informate nelle prossime elezioni?
Sono domande cruciali, perché il rischio è quello di lasciare che le nostre scelte siano guidate da sensazioni immediate e non da riflessioni ponderate. Per evitare questo pericolo, è necessario un impegno collettivo per riportare al centro del dibattito non solo il “come ci fa sentire” un candidato, o un gruppo politico, ma cosa rappresenterà in sostanza affidargli la responsabilità di guidare, scegliere, decidere per noi e per il futuro della professione.
“La cosa più difficile è la decisione iniziale di agire, il resto è solo tenacia. Le paure sono tigri di carta” (Amelia Earhart).
Se siete arrivate a leggere fino a qui, grazie innanzitutto, e poi: prendete questa riflessione come un caveat di fine anno, un nudge gentile e ottimistico a tirare fuori quelle capacità e competenze che esercitiamo tutti i giorni nei luoghi del nostro lavoro.
Il dominio dei vibes ci impone di fare i conti con il sentire in tutte le sue sfaccettature. Non possiamo ignorarne l’influenza, ma possiamo e dobbiamo bilanciare emozione e razionalità, apparenza e sostanza, per non perdere di vista la complessità delle nostre responsabilità.
Sforziamoci di ricordare che, citando quello che la prof.ssa Elisabetta Camussi sottolinea sempre, la psicologia può promuovere il cambiamento sociale.
E questo vuole anche dire che sono proprio quegli strumenti che come categoria professionale padroneggiamo che posso aiutarci a guardare oltre l’immediatezza del messaggio e valutare la visione e la sostanza di chi ci rappresenterà.
Perché, se è vero che sono i vibes ci connettono, che è pur sempre una “questione di feeling”, è altrettanto vero che solo una riflessione profonda ci può guidare verso scelte consapevoli, informate e mirate a costruire un futuro migliore.
Le elezioni quest’anno saranno completamente online, un grande guadagno per permettere una reale accessibilità all’esercizio di un nostro fondamentale diritto di libertà, quello di scegliere le nostre rappresentanti.
Ancora una volta, un click facilissimo da fare, ma dalle conseguenze importanti per il futuro di tutt*.
Ilaria M.A. Benzi
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