Psicologia e social media: come la psicologia online può diventare una risorsa?

Negli ultimi anni, la divulgazione psicologica sui social media è esplosa. Milioni di persone seguono psicologi, coach e professionisti per approfondire temi come emozioni, relazioni e benessere. Tuttavia, questa tendenza ha generato un dibattito: quanto è realmente utile? Come possiamo distinguere i contenuti validi da quelli superficiali?

Vittorio Lingiardi ha recentemente avvertito del pericolo degli “psico-cialtroni”, figure che semplificano eccessivamente il sapere psicologico per attrarre follower, a discapito della qualità. 

La presenza di una divulgazione poco seria e attendibile è un dato reale ma è bene ricordare che il nemico da combattere non è la divulgazione in sé e per sé: se condotta con etica e competenza, essa può sensibilizzare, educare e ispirare. È necessario però interrogarsi su chi divulga, come lo fa e con quali finalità. Ciò che occorrerebbe attenzionare è la divulgazione fatta al mero scopo di attirare followers e aumentare la propria notorietà, quel tipo di divulgazione che, pur di raggiungere i propri scopi, è disposta a rinunciare alla qualità dei contenuti e alle loro basi scientifiche. 

Divulgare: un gesto di servizio sociale

La divulgazione psicologica ha un grande potenziale: abbattere barriere e portare conoscenze alla portata di tutti. Non tutti possono permettersi una terapia, e non tutti sono pronti a intraprenderla. Tuttavia, leggere un post sul valore dell’autocompassione, ascoltare un video che spiega il ciclo della procrastinazione o scoprire il potere delle emozioni può essere un primo passo per avvicinarsi al proprio mondo interiore. In questo senso, anche le “banalità” non sono sempre inutili: uno stimolo semplice, ma ben veicolato, può far scattare una riflessione o portare una persona a cercare un aiuto più strutturato. 

Oltre a ciò, la diffusione di contenuti divulgativi a tema psicologico sta contribuendo non solo a trasmettere conoscenze riguardo al funzionamento della mente umana, delle relazioni e della società ma anche ad abbattere lo stigma associato alla salute mentale. Tema molto sentito, soprattutto tra le generazioni più giovani: le stesse che utilizzano più frequentemente le piattaforme social. È anche grazie alle nuove conoscenze, che i social sono in grado di diffondere a macchia d’olio, che il tema della salute mentale si è diffuso in maniera capillare e ha iniziato ad essere trattato con maggiore apertura e comprensione. 

Grazie a piattaforme come Instagram e TikTok, i professionisti della psicologia hanno l’opportunità di raggiungere un pubblico vastissimo, spesso ben oltre quello accessibile attraverso la sola pratica clinica. Questa visibilità, però, porta con sé una grande responsabilità. Un divulgatore non conosce chi ascolterà i suoi messaggi: non può sapere le loro storie, fragilità o vissuti.

Per questo motivo, è fondamentale che i contenuti siano rigorosamente basati su evidenze scientifiche, ma anche presentati in modo chiaro e accessibile a un pubblico eterogeneo. Ogni parola deve essere scelta con cura, soprattutto quando si trattano argomenti delicati o potenzialmente “triggeranti”. Il rispetto, la professionalità e la sensibilità verso l’impatto emotivo dei contenuti non sono solo un dovere etico, ma una condizione imprescindibile per garantire un utilizzo consapevole e responsabile dei social come strumento educativo e di sensibilizzazione.

La responsabilità dei professionisti sui social

Come professionisti, non possiamo ignorare l’impatto dei social media: sono ormai parte integrante della vita quotidiana e uno strumento di connessione con milioni di persone. Piuttosto che demonizzarli, dobbiamo chiederci come possiamo utilizzarli in modo responsabile ed efficace per fare emergere un aiuto reale.

La vera domanda non è “se” usare i social, ma come usarli. La consapevolezza deve guidare il nostro approccio:

   •    Chiariamo il nostro obiettivo: stiamo creando contenuti per educare, sensibilizzare o intrattenere?

   •    Valutiamo l’impatto delle nostre parole: un messaggio, anche ben intenzionato, può essere frainteso o risultare inadeguato.

   •    Riflettiamo sulla qualità dei contenuti: la divulgazione non è una semplificazione del sapere, ma un lavoro di adattamento che richiede competenza e attenzione.

Essere sui social significa accettare di comunicare con un pubblico eterogeneo, spesso privo di basi psicologiche. Questo implica una doppia responsabilità: trasmettere contenuti scientifici e rispettare la vulnerabilità delle persone che leggono o guardano i nostri post.

Il problema del discernimento

Il problema non è solo cosa viene pubblicato, ma chi pubblica e come. È vero, ci sono professionisti che propongono contenuti ben costruiti e scientificamente fondati, ma ci sono anche figure che sfruttano l’interesse per la psicologia in modo poco etico o superficiale. Non tutti i contenuti semplici sono inutili, ma è fondamentale distinguere tra semplicità ben costruita e ipersemplificazione superficiale. La prima richiede competenza: rendere un concetto complesso accessibile è un’arte. La seconda, invece, banalizza i temi, svuotandoli di valore scientifico. Ad esempio, dire “basta essere positivi” non aiuta chi sta lottando con un problema reale, anzi, può alimentare il senso di inadeguatezza.

In questi casi, manca un insegnamento fondamentale: aiutare l’utente a distinguere tra contenuti divulgativi e approcci terapeutici. Un contenuto, per quanto ben fatto, studiato ed affidabile nelle sue fonti, non può essere paragonato alla forza ed efficacia della relazione terapeutica. La divulgazione deve essere un ponte verso una comprensione più profonda, non una scorciatoia. 

Una ricerca di Flett e Hewitt sul perfezionismo ha evidenziato quanto sia dannoso semplificare concetti complessi, strategia che molto spesso viene utilizzata durante la divulgazione social. Parlare di “essere più gentili con se stessi” senza fornire un contesto, degli studi a sostegno può sembrare un banale consiglio che, tra l’altro, sappiamo bene non essere una pratica associabile alla professione psicologica. Il nostro ruolo, anche sui social, non può essere quello di dare consigli e suggerimenti su cosa è giusto e opportuno fare nella propria vita, ma essere promotori di riflessione, cambiamento, ricerca, donatori di strategie realmente potenzianti per le persone che ci seguono. Lo stesso tema, la gentilezza verso di sé, se ancorato a studi scientifici e applicato con consapevolezza, diventa una pratica trasformativa. 

Noi professionisti possiamo, con il potere della tecnologia, avvicinare migliaia di persone a conoscenze che, se sfruttate in modo funzionale, sono davvero in grado di dare una spinta trasformativa positiva. 

Ciò che si rende necessario a questo punto non è trovare le “giuste” risposte alla spinosa questione della divulgazione social ma piuttosto porci le giuste domande: 

  • Come possiamo, attraverso la divulgazione, sensibilizzare l’utente all’importanza di valutare attentamente a chi consegnare la sua fiducia?
  • In che modo i nostri contenuti possono essere facilitatori di una comprensione più profonda di sé? 

La provocazione: come possiamo trasformare la “banalità” in utilità?

Un punto spesso trascurato è il valore della semplicità: non tutti i contenuti devono essere complessi per essere utili. Nel 2016, uno studio condotto da Fredrickson ha dimostrato che piccoli gesti di positività quotidiana, anche se sembrano banali, possono generare un effetto cumulativo sul benessere psicologico. A volte, una frase semplice può essere ciò che serve per dare conforto o ispirazione in un momento difficile. Senza contare che, al giorno d’oggi, le soglie di attenzione della popolazione stanno drasticamente calando e dunque, abbreviare e sintetizzare ciò che si vuole comunicare sta diventando una vera e propria necessità. 

Occorre poi distinguere tra la produzione di contenuti semplici, resi volutamente tali per essere fruibili ed utili a tutti, da contenuti ipersemplificati fino alla loro banalizzazione. I primi, infatti, richiedono un lavoro ed una competenza che spesso è ancor maggiore rispetto a quella richiesta da contenuti mantenuti più complessi, a primo impatto valutabili come “più affidabili”, ma anche meno comprensibili al grande pubblico. E allora la domanda che mi viene da porre è: meglio un contenuto impeccabile ma comprensibile a pochi oppure uno più semplice e potenzialmente utile a molti?

Non esistono risposte giuste o sbagliate, ciò che occorre chiarire è il proposito con cui si decide di iniziare a divulgare sui social, senza mai perderlo di vista per non rischiare di essere travolti dalle trappole che i mondi virtuali portano con sé. 

La semplicità, quando costruita saggiamente, non è mai mancanza di profondità. Piuttosto ha a che fare con la capacità di distillare concetti complessi in messaggi accessibili, a servizio del vero scopo della divulgazione: una diffusione di sapere su larga scala.  

Il ruolo delle piattaforme e la responsabilità del pubblico

In un mondo ideale, le piattaforme social collaborerebbero con esperti per garantire che i contenuti psicologici rispettino standard di qualità. Tuttavia, questa regolamentazione apre un dibattito: chi decide cosa è valido o utile? La complessità della psicologia non si presta a facili regolamentazioni. Per questo, un passo fondamentale è promuovere l’alfabetizzazione psicologica, insegnando agli utenti a interrogarsi su ciò che leggono:

  • L’autore è qualificato?
  • Ci sono riferimenti scientifici o fonti affidabili?
  • Il messaggio è coerente con le proprie esperienze e valori? 

Se da un lato è necessario che i divulgatori condividano con trasparenza ed onestà le loro qualifiche e competenze, è altrettanto necessario incentivare l’utente ad attivare un pensiero critico rispetto a tutto ciò che legge o incontra all’interno dei social ma anche a riflettere sui suoi obiettivi rispetto alla navigazione di questi contenuti: 

  • Cosa voglio ottenere dai contenuti che guardo?
  • Quali miei bisogni soddisfano questi contenuti? 

Tenendo sempre a mente che i contenuti di divulgazione seri ed etici non nascono per permettere autodiagnosi o per fornire soluzioni a gravi problematiche ma si propongono di diffondere informazioni, spunti di riflessione e piccole strategie per migliorare il proprio benessere. 

Un futuro consapevole per la divulgazione psicologica

La divulgazione psicologica ha un potenziale immenso, ma richiede responsabilità e intenzione chiara. Come professionisti, abbiamo il dovere di offrire contenuti fondati su evidenze scientifiche e adattati al pubblico. Come utenti, è nostro compito essere consapevoli e critici, imparando a distinguere il valore autentico dal sensazionalismo.

La divulgazione è una porta d’accesso alla psicologia e non è mai fine a se stessa: è un servizio sociale, una responsabilità e un’opportunità per avvicinare le persone a un sapere che può davvero trasformare vite.

Come possiamo, insieme, rendere la divulgazione uno strumento per costruire un mondo più consapevole? Dunque non è necessario decidere da che parte schierarsi, scegliere tra terapia e divulgazione. Entrambe, con modalità e presupposti profondamente diversi, possono convergere verso una meta comune: il potenziamento della consapevolezza individuale. Possiamo quindi vedere la divulgazione come una porta d’accesso alla psicologia e alla possibilità di cambiare in meglio la nostra vita. Ciò che è fondamentale ricordare è che ogni porta deve essere aperta con consapevolezza. 

La psicologia non è solo uno strumento: è un viaggio, e merita di essere intrapreso con la giusta guida e il giusto discernimento. 

Lara Zucchini
www.larazucchini.com